Evento nazionale sul capitale naturale: l'acqua, un diritto globalmente poco riconosciuto, oggetto del fenomeno di accaparramento
Non è “solo” l’elemento fondante della vita, ma è un importante driver per lo sviluppo economico e sociale di una comunità. Ed è oggetto di contenziosi su scala nazionale e internazionale, capace di generare tensioni e conflitti. Parliamo dell’acqua e della sua (cattiva) gestione in giro per il mondo. Se ne è discusso durante l’evento nazionale del Festival dello Sviluppo Sostenibile “Acqua. Salvaguardare i diritti umani tutelando gli ecosistemi” organizzato alla Sala dei Lecci del Bioparco di Roma dal Comitato scientifico del Gruppo di Lavoro dell'ASviS sui Goal 6 (acqua pulita e servizi igienico-sanitari), 14 (vita sott’acqua) e 15 (vita sulla terra) e dal Wwf Italia il 3 giugno.
In apertura è arrivato l’intervento del portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini che, in collegamento da Genova, prima ha tenuto a ricordare i successi del Festival 2019, “c’è molta più concretezza nei documenti che vengono prodotti, e anche sull’acqua si sta lavorando su un documento efficace”, e poi ha introdotto i lavori di giornata: “il tema acqua è centrale, noi vogliamo dare voce non solo alle preoccupazioni ma alle soluzioni. Come ASviS stiamo aiutando le Regioni ad avere un approccio integrato su questi temi, speriamo che quello dell’acqua, e l’ambiente in generale, possa trovare considerazione diversa dall’attuale”.
Moderato dal direttore scientifico del Wwf Italia, Gianfranco Bologna, il dibattito si è soffermato sulle diverse implicazioni che questa importante fetta del capitale naturale trova in ogni angolo del pianeta. Aspetti su cui troppo spesso siamo vittime di disinformazione e che non “utilizziamo per raccontare alle persone che aprire il rubinetto è una fortuna incredibile”, come sostenuto da Francesco Petretti, presidente Fondazione Bioparco.
A Marirosa Iannelli, presidente di Water Grabbing Observatory, è toccato fare un punto della situazione su scala globale, parlando anche del fenomeno di “accaparramento” della risorsa idrica. Dai dati diffusi dalla ricercatrice, a livello mondiale il 70% di acqua è impiegato per agricoltura e allevamento, il 22% per produrre materiali e oggetti e solo l’8% è riservato a usi domestici. Secondo quanto diffuso da Acquastat (database della Fao sull’acqua) nel 2050 il 60% della popolazione mondiale potrebbe vivere in zone dove la risorsa risulta “sotto stress”, in pratica dove non si dispone della quantità necessaria a garantire uso domestico e servizi igienico-sanitari.
La sfida da qui in avanti, presente anche nell’Agenda 2030, è di modificare il consumo idrico in modo da garantire il diritto universale all’acqua, contrastando il fenomeno del “water grabbing”. “Anche se da noi è un fenomeno poco conosciuto”, ha sottolineato Iannelli, “ci sono aree dove l’innalzamento della temperatura per via del cambiamento climatico e la cattiva gestione della risorsa hanno portato a una situazione drammatica. Spesso e volentieri sono i Paesi del Nord del mondo a sottrarre risorse idriche a quelli del Sud. Si stima che da qui al 2050 l’Asia vivrà una condizione di stress maggiore di quella che affligge oggi l’Africa”.
Caso emblematico è quello etiope dove la costruzione di cinque mega dighe per la produzione di energia idroelettrica ha spinto le comunità del luogo a spostarsi verso il Kenya, alimentando così un conflitto per disporre delle riserve rimaste, “un esempio in cui Governo e multinazionale (italiana, parliamo della Salini-Impregilo), per costruire la diga Gibe III, hanno sottratto risorse per profitti senza soddisfare alcun diritto, e l’energia elettrica viene pure venduta dal governo ad altri Paesi”.
Oggi nel mondo esistono 900mila dighe di cui 40mila di grandi dimensioni, cinque miliardi di persone vivono in Stati che condividono acqua e fiumi, e si contano circa 500 tensioni tra Paesi transfrontalieri per questa ragione.
L’accesso all’acqua non è dunque un diritto garantito, basti pensare che tre persone su 10 non godono di acqua pulita e 6 su 10 sono prive di servizi igienico-sanitari sicuri (un fattore letale: la dissenteria uccide più bambini nel mondo ogni anno rispetto a tubercolosi, Aids, e malaria messe insieme).
Una testimonianza in questa direzione è arrivata anche dal divulgatore scientifico presente all’evento, Mario Tozzi: “ho visitato una delle grandi dighe sull’Eufrate, è diventato un rigagnolo privo di significato, e parliamo di un fiume dove si è sviluppata la civiltà. Ma per vedere la non curanza con la quale si è costruito non bisogna andare molto lontano. Pensiamo all’Italia dove ci sono quasi 12mila km di fiumi sotterrati, la maggior parte delle vittime per alluvione si trovano lì. Prima non era pensabile che si costruisse una città senza un fiume in piena vista, oggi invece li tombiamo. Non ci siamo comportati proprio benissimo, per aggirare un problema ne abbiamo creato un altro amplificandolo, basta guardare Genova”.
Ricordando che l’Italia è il secondo Paese al mondo per consumo di acqua in bottiglia, dopo il Messico, non poteva mancare un focus su un “binomio ormai inscindibile”: acqua e plastica. I numeri elencati da Eva Alessi, responsabile risorse naturali e consumi sostenibili del Wwf Italia, parlano chiaro: dal 1960 ad oggi la plastica è aumentata di 20 volte; ogni anno produciamo 950 Empire State Building pieni di plastica; a livello globale vengono creati 78 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica e solo il 2% rientra nel sistema (quasi interamente pet), il 40% finisce in discarica e il 32% viene disperso in natura, il 14% viene incenerito. “Siamo gli unici a non aver creato un ciclo chiuso in natura, non abbiamo ancora scoperto un organismo capace di ingerire plastica. Oggi 150 milioni di tonnellate di plastica sono presenti nei nostri mari, un pezzo ogni cinque pesci, e nel 2050 rischiamo di avere più tonnellate di plastica che di pesci. L’80% di tutta la plastica in natura viene trasportata da 10 grandi fiumi nel mondo che non scompare, si dissolve solo, ma i polimeri rimangono invisibili ed entrano nella catena alimentare. Solo il 20% della plastica in mare proviene da attività marine, l’80% proviene da zone terrestri”.
Gli effetti sull’ecosistema e la salute umana sono imprevedibili, tutta questa plastica è concentrata in cinque grandi isole negli oceani. Tanto per avere un’idea, quella al sud del Pacifico ha un’estensione che arriva a 10 milioni di chilometri quadrati (l’Italia è circa 300mila chilometri quadrati). Inoltre, il Mediterraneo è la sesta maggiore zona di accumulo di microplastica al mondo.
A conclusione della giornata sono arrivate le parole di Daniele Meregalli, responsabile ambiente Fai (Fondo ambiente italiano), che ha ricordato il “Patto per l’acqua” sottoscritto dal Fai, fondo che gestisce “38 beni collegati alla raccolta e al dispacciamento di acqua”. L’obiettivo è quello di portare all’attenzione del Governo questo tema perché “noi non abbiamo una strategia italiana dedicata all’acqua civile, agricola e industriale, vogliamo aumentare la resilienza del sistema Italia”.
Infine, una volta data la parola al pubblico, è arrivata la denuncia di tre professoresse che insieme ai ragazzi hanno prodotto studi sui corsi d’acqua, dove è emersa la voglia di fare chiarezza sulla situazione del lago di Bracciano “sovrasfruttato dal comune di Roma che così mina l’equilibrio dell’ecosistema presente”.
di Ivan Manzo